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Michele Iaselli e Stefano Gorla, “Storia della Privacy”
È riscontrabile l’affermazione netta di questo diritto individuale nelle paro-
le che Lord Chatham, nel 1766, pronunciò nel Parlamento Inglese, in un
dibattito sull’uso delle garanzie:
«…il più povero degli uomini può, nella sua casetta lanciare una sfida opponendo-
si a tutte le forze della corona. La casetta può essere fragile, il suo tetto può essere
traballante, il vento può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la piog-
gia può entrare, ma il re d’Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano
attraversare la soglia di tale casetta in rovina».
Un’efficace metafora che consente di osservare che la privacy, nell’Europa
illuminista e pre-rivoluzionaria, nasce innanzitutto dalla capacità personale
che un individuo ha nell’opporsi alla forza della Corona.
Il momento di splendore della privacy viene collocata nella seconda metà
dell’800, quando lo sviluppo della borghesia nella società americana aveva
raggiunto il suo apice.
In tale contesto, a livello sociale ed istituzionale, la privacy non era affatto
la realizzazione di un diritto naturale di ogni individuo, ma l’acquisizione di
un privilegio da parte di un gruppo. La privacy, dunque, viene riconosciuta
pienamente come diritto e potere, derivante da un atto di volontà.
È una pretesa, legittima, che ogni individuo ha di decidere in che misura e
con che modalità, vuole condividere una parte di sé con gli altri. È diritto
dell’individuo di controllare la diffusione dell’informazione circa se stesso.
Nel lontano 1890 due giovani avvocati di Boston, Louis D. Brandeis e Sa-
muel Warren, preparavano una causa contro le indiscrezioni sulla vita ma-
trimoniale della moglie dello stesso Warren da parte di uno dei primi gior-
nali ad utilizzare la stampa a rotativa, la Evening Gazette di Boston. Warren
affermò: “Questa faccenda dei giornali che si occupano troppo della vita monda-
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