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Michele Iaselli e Stefano Gorla, “Storia della Privacy”
Claretta Petacci. Gli articoli non avevano tralasciato di divulgare dettagli e
descrizioni, ritenute offensive, nei confronti dei congiunti della Petacci, che
decisero di fare causa al settimanale. La Corte, in questo caso, emise una
sentenza decisiva, che mutò la rigida posizione iniziale su questo tema.
Nella massima si legge:
“Sebbene non sia ammissibile il diritto tipico alla riservatezza, viola il diritto
assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di auto-
determinazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come sin-
golo, la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un
consenso almeno implicito, ed ove non sussista, per la natura dell’attività
svolta dalla persona e del fatto divulgato, un preminente interesse pubbli-
co di conoscenza”.
Nel nostro paese non ci furono cambiamenti decisivi nell’orientamento
giurisprudenziale fino al 1975, anno in cui il Supremo Collegio affermò fi-
nalmente l’esistenza del diritto alla riservatezza[27]. La causa era relativa ad
una delle controversie instaurate da Soraya Esfandiari contro alcuni giorna-
li che avevano pubblicato delle fotografie ritraenti l’ex-imperatrice in at-
teggiamenti intimi con un uomo, nelle mura della sua abitazione.
Mentre in Italia il dibattito sulla privacy portava all’affermazione di un pie-
no riconoscimento della riservatezza in quanto diritto di tutelare la propria
vita intima contro ingerenze varie, anche a livello europeo si facevano pro-
gressi.
Da un punto di vista normativo già la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, all’art. 8, stabiliva che non può esservi ingerenza di una autorità
pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista
dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è ne-
cessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benes-
[27] Cass. Pen. 27 maggio 1975 n. 2129 53
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