Page 15 - STORIA_della_PRIVACY
P. 15
Michele Iaselli e Stefano Gorla, “Storia della Privacy”
case, i quartieri o i villaggi. Tutti sapevano tutto di tutti e lo raccontavano
in giro.
Le persone che abitano nello stesso quartiere avevano regole di vita pro-
prie e magari differenti da quelle di un altro quartiere (non ci discostiamo
molto dai quartieri “etnici” o particolari che esistono oggi), basate sulla
consuetudine e ufficiose o addirittura opposte a quelle ufficiali.
Per esempio, una convivenza poteva essere accettata come un matrimonio,
anche se non era stato consacrato. Oppure il quartiere accettava le secon-
de nozze o una relazione fra due amanti purché non fosse troppo evidente
ma lo stesso conosciuta, etc.,
Quindi la vita di un borgo era trasparente, alla luce del sole e comportava
necessariamente a una convivenza di massa.
Ognuno diventava così figlio della comunità, membro di una grande tribù,
come scriveva il cronista forlivese Leone Cobelli. Gli altri, i componenti di
comunità poco distanti - pur essendo della medesima etnia - venivano
considerati estranei, “forestieri” si diceva allora, “diversi”.
La ricerca della privacy all’interno di un gruppo ovvero di un borgo era
sempre più difficile, chi cercava di isolarsi era guardato quasi con sospetto,
e veniva ritenuto sovente come un mago o una strega.
Avveniva pertanto che nei borghi, un po’ come nei villaggi primitivi, lo
sguardo collettivo inseguiva chiunque, nel privato e persino nei comporta-
menti e negli atteggiamenti sessuali. La nozione di privato era piuttosto
vaga.
Vivendo tutto alla luce del sole, e non essendoci molte “distrazioni” e aven-
do poca considerazione dell’uomo come persona, esistevano spettacoli
pubblici, a cui si poteva assistere per le strade e nelle piazze, come la pub-
blica punizione dei criminali (che spesso venivano portati in giro per le vie
della città ed esposti agli insulti degli astanti per essere di monito alla po-
polazione); i roghi per i sodomiti, le frustate per i ladri e messi alla gogna e
ALEERTXS 15